Vivere meglio

È una convinzione molto diffusa che la protezione della nostra salute sia affidata principalmente alla medicina. Questa convinzione è alimentata dallo spettacolare e continuo allungamento della vita media. L’aumento della longevità ci spinge a consegnare fiduciosi la nostra salute nelle mani della medicina perché sono i progressi di quest’ultima che ci fanno vivere di più. E questi progressi non sembrano aver raggiunto un limite perché la vita ha continuato ad allungarsi anche in tempi recenti. Ad esempio dal 1995 al 2008 la speranza di vita in Italia è crescita da 78 a 82 anni.

Ma avere una vita più lunga non significa poter contare su una salute più duratura. Nello stesso periodo di tempo infatti la durata della vita in buona salute in Italia è crollata da 67 a 62 anni per gli uomini e da 70 a 61 per le donne. La vita sana è definita come priva di disabilità o malattie che ostacolano le attività quotidiane. In 13 anni tutti abbiamo guadagnato 4 anni di vita, ma gli uomini hanno perso 5 anni di vita in salute e le donne ben 9.

In sintesi, la “speranza di vita” si allunga ma la “speranza di salute” si accorcia. Dunque, allungare la vita non implica migliorare la salute. Il problema non è solo vivere di più, ma è soprattutto vivere meglio. E da questo punto di vista il quadro è allarmante: la forbice che si allarga tra vita in aumento e vita sana in regresso significa in pratica che si stanno creando schiere crescenti di malati cronici. Sono queste schiere che creano una pressione insostenibile sulla spesa sanitaria.

Per inciso, tutto questo è anche alla base della insostenibilità della spesa pensionistica nei paesi ricchi, gravati da eserciti di pensionati che sono il risultato dell’aumento della longevità. La soluzione, l’aumento della età pensionabile non incontrerebbe le enormi resistenze che incontra nell’opinione pubblica se anche la speranza di salute si fosse allungata, oltre a quella di vita. Ma quando pensiamo ad anziani che lavorano, l’immagine che ci si presenta alla mente è quella di gente stanca e malandata che dovrebbe invece curarsi e riposare. Insomma, l’aumento della età pensionabile ci sembra poco digeribile perché pensiamo che costringa al lavoro gente che non ha più la salute e le energie per lavorare.

Dunque la longevità non è un buon indicatore di salute

Il legame tra longevità e salute è assai meno lineare di quanto appaia a prima vista. Facciamo un esempio: chi ha la speranza di vita più lunga tra John, il neonato medio americano, e Yannis, il neonato medio greco? La spesa sanitaria pro-capite americana è il doppio di quella greca. Inoltre negli Stati Uniti il numero di TAC o risonanze magnetiche per abitante è sei volte quello greco. Ci aspetteremmo quindi che Yannis tendenzialmente viva meno di John. Invece la speranza di vita di John è più bassa del 20% di quella di Yannis. Questo esempio illustra un problema più generale, cioè il fatto che, confrontando i vari paesi, non c’è alcuna relazione tra la speranza di vita e la spesa sanitaria. Tale spesa è quella che il settore pubblico e i privati sostengono per prevenire e curare le malattie. La spesa sanitaria pro-capite negli Stati Uniti è quasi il doppio di quella svedese e oltre il doppio di quella giapponese, ma la vita media in America è più breve di quasi 5 anni di quella giapponese e di circa 3 di quella svedese.